Fulvio Penso - TRABACCOLI E BRAGOZZI
02/01/2017 - 28/02/2017
In Biblioteca l’artista Fulvio Penso, nell’ambito dell’iniziativa “Pagine ad Arte” sarà presente con l’esposizione dal titolo “Trabaccoli e bragozzi”, aperta al pubblico dal 2 gennaio al 28 febbraio in orario di apertura della biblioteca.
Sabato 18 febbraio alle ore 10, Conversazione tra l'artista Fulvio Penso e Massimo Jasonni "L'arte di navigare nella memoria"
"Fulvio Penso ha dedicato la vita alla musica. È stato, ed è direttore di un'orchestra pronta all'esecuzione del più vasto repertorio; è docente a contratto al Conservatorio di Pesaro, è virtuoso nel suono della trombetta barocca. Rispetto alla quale, Fulvio già esibisce una sua connaturata idiosincrasia per i luoghi comuni, precisando che quel fiato è rinascimentale, non la voce che poi rese chiassose le scenografie seicentesche, tipiche dell'impianto culturale della Controriforma.
In effetti, il cognome fornisce lumi: perché i Penso, a Cervia, sono l'emblema di una risalente tradizione di indomiti pescatori. Il Comune ne ha consentito testimonianza con targhe ceramiche impresse su alcune casine dell'ultimo porto-canale. Si tratta di antiche Romagne custodi del mare che volge alle Marche e di un socialismo tanto chiaro, quanto incompatibile con l'attualità politica. Senza che l'anticlericalismo, di cui il pensiero di Andrea Costa era intriso, abbia mai potuto impedire alle donne di rivolgere preghiere alla Madonna quando quel boia dell'Adriatico - uno stagno che in un attimo diventa feroce – impediva il rientro a casa, a notte fonda, degli uomini del mare.
Penso rappresenta ossessivamente quelle imbarcazioni: i trabaccoli o i bragozzi, che maestri d'ascia avevano disegnato e creato perché fossero stabili all'aperto, tuttavia agili in porto. La memoria pittorica utilizza ritagli di scafi recuperati con cura certosina in desolanti cimiteri marini. La tela qui è un rovere corroso dal tempo, in cui ancora si intravedono frantumi di ossi di seppia e argentee schegge di conchiglia.
Per la verità, Penso non è partito da qui, ma da fogli di carta di un quaderno anch'esso spugnoso come le tavolette di legno ora esposte alla Biblioteca Comunale “M. Goia”. In allora il pennello intingeva in fondi di caffè diluiti con acqua salmastra: non erano acquerelli, nell'accezione accademica del termine, ma erano acquerelli.
Nelle tavolette del rovere, segnato dall'urto del tempo, si mantiene fermo questo culto della fatica profusa dall'uomo nelle barche da pesca o, analogamente, nel lavoro delle saline. In entrambi i casi, il motore è un astioso rifiuto delle oleografie.
Penso è un autodidatta. Non ha ascendenze scolastiche che ne certifichino una provenienza, non ha allievi da educare a registri compositivi, in cui forse nemmeno lui crede. Più semplicemente vi dico che queste tavole e questi fogli di carta sono una eco del mare che si è perso; e forse anche una cifra che possa riportarci, nel buio della civiltà contemporanea, ai segreti dell'arte."
(Massimo Jasonni)