Miria Malandri - "La biblioteca dipinta"

15/07/2011 - 31/07/2011

"Ma i quadri di Miria sono serenamente ingannevoli" - questa volta è Giordano Viroli che scrive - "c'è in essi uno strazio luminoso. L'immagine vi diventa poesia e allarme". E aggiunge che ogni soggetto "è come depotenziato, nel suo 'realismo', delle caratteristiche che potrebbero renderlo troppo 'naturalmente vero'". E' proprio nella distanza dal 'naturalmente vero' che insiste infati tutto il lavoro della pittrice, che dal vecchio album di private memorie familiari alle sequenze cinematografiche universalmente note, ha tessuto la sua trama, fors'anche candidamente capziosa, di allusioni, rimandi, libere citazioni. Ma infine, cose c'è dietro l'immagine, col suo potere di seduzione, il suo adescamento entro l'offerta di un'ambigua o ingannevole familiarità? Si potrebbe scansare in parte l'interrogativo riportando la questione nel solco della pittura, delle prerogative specifiche del suo linguaggio, dei suoi valori. E dunque ci si troverebbe di fronte ad un dialogo, un lungo, quasi ininterrotto dialogo fra la vecchia pittura e le "arti visive" che hanno più connotato la modernità: la fotografia, con tutte le sue applicazioni, la sua 'riproducibilità tecnica', e il cinema. Dove ogni immagine torna a quella condizione che è propria solo della pittura. Torna in quei suoi ' vasti e strani domini' di tempo e di spazio, magari racchiusi in una piccola superficia, e attraversati da echi di lontananze che vengono dalla sua propria storia, come dai richiami di un presente che comunque premono quand'anche paiano inascoltati. Perchè alla fine , è sempre con la pittura che un pittore - concettuale o meno, postmoderno, medialista, o senza etichette, non importa poi tanto - si trova a fare i conti. Come continua a farli nei suoi fruttuosi prelievi la pittrice Miria Malandri.

(in "La biblioteca dipinta. Un ciclo pittorico di Miria Malandri", Editrice Compositori, 2001, pag. 37)

 

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